Sabato, 06 Dicembre 2014 12:59

TFF32: impressioni sul religioso nel cinema

Scritto da  Gerardo

Qual è il religioso che si può intravedere nei film visti alla 32° edizione del Torino Film Festival?
E’ questa la domanda a cui Giuseppe Picone, dal momento che il nostro sito che si occupa del fenomeno religioso nel mondo contemporaneo, ha cercato di rispondere. Iniziando con il film che ha riscosso il riconoscimento maggiore alla rassegna, e proseguendo con una mirata selezione che include tra l’altro due opere che hanno trovato spazio nella sezione TFFDOC ‘Democrazia’.
Buona lettura!



TFF32: impressioni seconde e ultime. Sul religioso nel cinema

Altre considerazioni sulla 32° edizione del Torino Film Festival diventano doverose scrivendo per un sito che si occupa del fenomeno religioso nel mondo contemporaneo. Certo il nostro è stato un ben striminzito carnet. Povero in quanto riferito al numero esiguo di film che abbiamo potuto vedere (26 su 190), rispetto alla grandiosità dell’offerta delle pellicole proposte nelle 10 sezioni (chi ravvisasse nei termini da noi usati esagerazione non ha neppure scorso il catalogo di TFF32 che purtroppo – dato il restringimento dei fondi – è stato possibile consultare solo on-line). Tutto questo per dire che l’edizione 2014 sarà ricordata per la alta qualità della scelta delle pellicole proposte, indipendentemente da dove sono andate a collocarsi le predilezioni dei giurati delle varie sezioni.

Ma torniamo allo scopo precipuo di queste seconde impressioni rispetto al nostro articoletto del 29 novembre scorso. Vale a dire: quale è il religioso che si può intravedere analizzando alcuni dei film visti dal vostro cronista? Partiamo proprio dal film che ha ricevuto il riconoscimento maggiore: ‘Mange tes mortes’ (tradotto volgarmente ‘li mortacci tua’) di Jean-Charles Hue (Francia). Si narra di una famiglia nomade di etnia Jenich, accampata alla periferia di Parigi. Il film si apre sostanzialmente con i preparativi del battesimo di Jason , il diciottenne giovane protagonista del film e si chiude con il rito battesimale del medesimo. Nel mezzo una cruentissima storia criminale con sparatorie, scontri, tentativo di rapina, l’uccisione di una persona. Il film ha molti pregi: la accurata descrizione dei rapporti interpersonali fra i componenti della gang; la mitizzazione del padre sfragellatosi contro un posto di blocco pur di non farsi prendere; lo scontro nella comunità nomade tra anziani e nuove generazioni; l’unità di tempo: tutto si svolge in una notte (e la narrazione non ha una sbavatura); la forma filmica del road-movie governata con grande maestria e capacità realizzativa. La cosa meno convincente (o almeno resa in modo banale) è la presenza del fattore religioso. Il battesimo del giovane Jason sembra fatto casuale, nonostante l’enfasi datale dal regista. Le azioni e i pensieri dei protagonisti non sono minimamente sfiorati da problematiche o rovelli di tipo religioso. La presenza del rito religioso sembra solo un espediente per rimarcare che la vita continua. E, se si voleva invece rimarcare il paradosso della compresenza di vita criminale e di riti religiosi, tale paradosso non viene fuori (o almeno Jean-Charles Hue non ha saputo renderlo con un linguaggio cinematografico coerente: in questo caso sembra prevalere il documentarista sul regista).

Tutt’altra cosa il caso di ‘Felix et Meira’ del canadese Maxime Giroud (al quale avremmo dato il maggior premio ex-aequo con ‘For Some Inexplicable Reason’ dell’ungherese Gabor Reisz: come del resto lo stanno a dimostrare la pioggia dei premi secondari avuti). Meira è la giovanissima ebrea sposa infelice di un Rabbi (?) della comunità chassidica ortodossa di Montreal. Qui una pratica religiosa formale e assurda condiziona in toto e imprigiona la vita delle donne e degli uomini. Costringe le prime ad un ruolo di allevatrici di numerosissimi figli e di serve del marito. Niente è permesso a Meira al di fuori di questo: neppure l’innocente ascolto della musica. Alla gabbia formale delle convenzioni religiose e sociali, Meira e Felix rispondono appellandosi alla loro voglia di vivere, al desiderio di suggere fino in fondo il nettare della vita. Là dove il brivido del sacro ci mette in contatto con il senso più profondo del sentire religioso. Poi, naturalmente, ci sono le vicende del vivere quotidiano ove la zattera dell’amore può andare a schiantarsi. Ma su quella zattera occorre salire e non saranno le convenzioni religiose e sociali a impedirlo.

Questa sorta di my way alla religiosità la si trova anche in due film della riuscitissima sezione TFFDOC ‘Democrazia’.

La intervista che apre ‘Qui’ di Daniele Gaglianone (una inchiesta su chi sono davvero i valsusini che si oppongono alla TAV Torino-Lione, ‘attraverso dieci ritratti fatti di parole e silenzi’), è dedicata ad una attivista che coniuga la sua militanza cattolica alla organizzazione della protesta e della lotta contro il mastodonte TAV. Mettendo insieme le catene con le quali si autoimprigiona di fronte al cantiere e il rosario che stringe fra le mani. E’ addirittura
la leva religiosa (espressa in modo che più tradizionale non si può) che sorregge e sostanzia una opposizione senza quartiere contro quel gigantesco groviglio di affari.

Terminiamo questa rapida carrellata con ‘Iranien’ del persiano Meheran Tamadon (ma il film è – non a caso – una produzione franco-svizzera). Il regista, dichiaratamente ateo, si adopera affinché quattro mullah komeinisti siano costretti a vivere nella casa di campagna del regista intorno a Teheran, in uno spazio in cui le leggi siano dettate dalla convivenza democratica e non dalla sharia islamica. La dura fatica per mettere insieme i quattro non dà i risultati sperati. Innanzitutto i mullah impongono e ottengono che le loro mogli siano segregate in uno spazio a loro dedicato. E meno che meno autorizzate a partecipare alla discussione (qui i mullah di Teheran sono allineati perfettamente con gli ebrei ortodossi di Montreal). Quanto alla discussione i quattro restano vincolati a risibili contestazioni del vivere civile nel mondo attuale. Un dialogo tra sordi che ha risvolti esilaranti ma che non nascondono la tragicità degli approdi del fondamentalismo religioso. Cosa dire? Certamente il campione è troppo piccolo per tirare delle conclusioni. Ma una proposta può nascere da queste considerazioni. Perché il TFF33 del prossimo novembre non appronta una sezione TFF33 ‘Religioni’? Rivolgiamo questa domanda al bravissimo Direttore Emanuela Martini e al suo altrettanto valido staff.

Giuseppe Picone
San Gimignano, 4 dicembre 2014

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